L’ Ippolito di Rubens, quando il mondo greco diventa arte

di Vanessa Paladini

Pieter Paul Rubens , nato a Siegen  (Westfalia) nel 1577, è il più grande pittore fiammingo del Seicento. Si forma principalmente in Italia tra il 1600 e il 1608. A Roma conosce la pittura rinascimentale, resta affascinato dal classicismo del Caracci e dallo straordinario realismo del Caravaggio. Ritornando nelle Fiandre,  unisce magistralmente colore e disegno italiani con l’ amore per i particolari, tipico della tradizione fiamminga.

In pittura Rubens utilizza colori intensi , donando un’anima e grande teatralità ai personaggi che rappresenta. Un esempio maestoso ne è “La morte di Ippolito”, un piccolo olio su tela -50,2 x 70,8 cm- realizzato nel 1611 ed ora conservato a Cambridge, nel  The Fitzwilliam Museum.  L’opera è stata commissionata all’ artista da un amante della mitologia e dell’ antico mondo greco e romano.  La grandezza di Rubens sta nell’ aver  saputo contenere in questo ristretto spazio, l ‘epilogo di  una strabiliante narrazione epica.

Protagonista della scena è Ippolito, figlio del re di Atene Teseo e dell’ Amazzone Ippolita. Ippolito è accusato ingiustamente di aver usato violenza alla seconda moglie del padre, Fedra. In realtà il giovane, seguace di Artemide, rifiutò le profferte della matrigna che era stata rapita da malsana passione. Teseo, non accogliendo le proteste di innocenza del figlio Ippolito, chiamò Poseidone che gli aveva offerto di esaudire tre desideri e gli chiese di liberarlo dal figlio.

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Rubens riprende uno dei  capolavori del tragediografo greco  Euripide nella sua opera “Ippolito” del  428 a.C. aveva scandalizzato il pubblico ateniese per la sua trama. Euripide fa pronunciare ad Afrodite il verdetto del giovane Ippolito.  La dea, invidiosa di Artemide, ha deciso di punirlo mettendo in atto un piano preparato da tempo e rivela quali saranno gli avvenimenti futuri: Ippolito morirà per mano del padre, aiutato da Poseidone.

E il giovane a me nemico lo ucciderà suo padre con le maledizioni che il signore del mare Poseidone concesse come dono a Teseo, (e cioè) di chiedere per  tre volte al dio nulla di vano” (Ippolito, vv. 43-46)

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Infatti i cavalli che guidano il cocchio d’oro di Ippolito, spaventati da un mostruoso toro che esce dal mare, si imbizzarriscono e travolgono l’eroe. Rubens, tornato dal soggiorno in Italia, organizza compositivamente il dipinto lungo la diagonale che dal vertice sinistro in alto giunge a quello destro in basso, donando al quadro un eccellente dinamismo. Le criniere dei cavalli fremono al vento, Ippolito è a terra. La possente muscolatura di Ippolito ricorda alcuni esempi michelangioleschi, ammirati da Rubens a Roma. L’ uso del colore – che si rifà per certi versi al Caravaggio- così  pieno di torbide atmosfere e violenza, sottolinea la drammaticità dell’ evento e la possente manifestazione del divino. Ma la matrice fiamminga di Rubens lo porta a descrivere con minuzia ciò che caratterizza il mare, ecco che un insieme di variopinte conchiglie riempiono la riva trasportate da dolci onde e dei piccoli granchi spiaggiati si confondono quasi con la natua circostante. Una lucertola poi è vicina all’eroe, simbolo quasi di quiete contro la furia di Poseidone.

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