Joan Miró, uno sguardo al cielo: la serie delle “Costellazioni”

di Laura Corchia

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge. Rimango sconvolto quando vedo, in un cielo immenso, un quarto di luna o il sole. Del resto, esistono nei miei quadri delle forme piccole in grandi spazi vuoti. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto ciò che è spoglio mi ha sempre fatto molta impressione”. 

(Joan Miró)

Da sempre, l’uomo ha rivolto gli occhi al cielo per contemplarne l’immensità e il fitto mistero. Brulicante di stelle, la volta celeste è una consolazione per le anime solitarie e vagabonde. Attraverso le Costellazioni, l’uomo ritrova la strada smarrita e riprende il cammino.

Joan Miró ha dedicato alle Costellazioni una serie di 23 tempere, da sempre affascinato dai colori cangianti del cielo. Da bambino, a Mont-roig, il padre, appassionato di astronomia, gli aveva insegnato ad osservare il firmamento con il telescopio e le passioni che si radicano nel cuore dei fanciulli, si sa, sono destinate a durare per sempre.

Mirò - Costellazione Amorosa
Mirò – Costellazione Amorosa

Divenuto adulto, l’artista espresse questo amore attraverso ciò che gli riusciva meglio, la pittura. Fu così che il 21 gennaio del 1940, nel suo isolamento a Varengeville sur Mer, dove aveva preso in affitto una casa per sfuggire agli orrori del regime franchista, afferrò colori e pennelli e diede avvio a ciclo delle Costellazioni. “A quest’epoca – racconta in seguito – ero molto depresso. Credevo che la vittoria dei nazisti fosse inevitabile (…) ed ebbi l’idea di esprimere quest’angoscia tracciando segni e forme sulla sabbia, in modo che le onde li trascinassero via istantaneamente o creando sagome e arabeschi nell’aria come fumo di sigaretta, che poi sarebbero saliti in alto avrebbero accarezzato le stelle (…)
Non esistono più torri d’avorio. L’appartarsi e l’isolamento non sono più consentiti. Perché ciò che vale, in un’opera, non è quel che vogliono scoprirvi troppi intellettuali, ma ciò che essa trascina in termini di esperienze vissute, di verità umana… (…) ciò che conta non è tanto un’opera, ma la traiettoria dello spirito che attraversa la totalità della vita, non ciò che si è riusciti a fare durante il suo corso, ma ciò che essa lascerà ad altri in un giorno più o meno lontano”.

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mirò

Nel silenzio del suo studio, leniva il dolore attraverso la costante ricerca della bellezza dell’universo:

“… sentivo un profondo desiderio di evasione e mi rinchiudevo deliberatamente in me stesso, la notte, la musica e le stelle cominciavano ad avere una parte sempre più importante nei miei quadri”.

Scelse come supporto piccoli fogli di carta e come medium colori ad acqua e benzina.

La prima opera la intitolò Le lever du soleil. Tutti i dipinti, ispirati dall’ascolto di Bach e di Mozart, presentavano fondi cromatici grigi-azzurri, rossi, verdi e bruni. Solo uno fu dipinta con uno sfondo blu notte. La tecnica è illustrata dallo stesso artista: “Dopo aver lavorato (ai dipinti ad olio) intingevo i pennelli nella trementina e li pulivo sui fogli di carta bianca dell’album, senza alcuna intenzione premeditata. La superficie assorbente della carta mi metteva in uno stato d’animo positivo e suscitava la nascita di forme, figure umane, animali, stelle, il cielo, la luna, il sole. Le disegnavo a carboncino con tratti vigorosi… Avevo dato ai miei dipinti dei titoli molto poetici perché così avevo deciso e perché tutto ciò che mi restava, allora al mondo era la poesia”.

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Passage de l'oiseau divin
Passage de l’oiseau divin

Nel maggio del 1940 i Nazisti bombardarono la Normandia. Miró si rifugiò a Palma di Maiorca con il cuore pieno di paura. “Mi dicevo” ha raccontato dopo «vecchio mio, sei fregato. Ti sdraierai sulla spiaggia e disegnerai sulla sabbia con un bastone. Oppure farai dei disegni col fumo di una sigaretta. Non potrai fare nient’ altro”. Ma gli restava la consolazione della pittura e del cielo sopra la sua testa, che continuò a dipingere fino al 1941. L’ultimo dipinto della serie ebbe come titolo Passage de l’ oiseau divin. Nel frattempo le stelle lo avevano ricondotto a casa, a Mont-roig, lì dove tutto era iniziato, lì dove tutte le notti contemplava il cielo con il telescopio del padre.

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