Il primo restauratore della storia? Si chiamava Gaius Anianus Evander

Di Laura Corchia

Nel mondo greco, all’opera d’arte veniva attribuita una funzione strumentale, dal punto di vista civile e religioso. Pertanto, il restauro era inteso come riparazione di problemi tecnici, proprio per consentire il mantenimento di tale funzione.

Nel mondo antico, il termine tèchne, equivalente al latino ars, racchiudeva in sé il duplice significato di arte intesa come contenuto e come tecnica. Quindi, intervenire sulle opere d’arte era lecito e ammesso. Fidia, ad esempio, riparò lo Zeus di avorio di Olimpia.

 

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L’estensione dell’Impero Romano alle regioni di cultura greca della Magra Grecia e poi alla Grecia stessa diede inizio ad un vero e proprio saccheggio dei capolavori greci, che rese necessari trasformazioni e adattamenti. In epoca romana nacque la pratica di replicare le più famose sculture greche, tanto che erano sorte delle vere e proprie industrie.

L’opera d’arte era intesa come un bene materiale da proteggere e tutelare. I libri dal XXXV al XXXVIII della Naturalis historia di Plinio rappresentano un breve trattato di storia dell’arte antica e, per secoli, furono utili a comprendere come i soggetti venivano rappresentati e fornirono preziose informazioni per l’eventuale restauro, dal momento che esso era inteso come completamento delle parti mancanti.

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In rarissime occasioni, veniva preso in considerazione l’aspetto estetico dell’opera. Le fonti antiche tacciono in tal senso, ma abbiamo notizia di una statua attribuita a Lisippo, rappresentante Alessandro Magno,  che Nerone fece dorare. Dopo la caduta dell’Imperatore, questa scultura venne fatta restaurare per togliere la foglia d’oro che ne alterava la “grazia”, cioè il suo significato artistico.

Vitruvio ci informa che alcune pitture murali furono portate via da Sparta nel 59 a.C. attraverso un trasporto “a massello”, ovvero lo stacco della pellicola pittorica e di una porzione di muro. Tale pratica sarà eseguita fino almeno al settecento, periodo in cui verranno messi a punto sistemi tecnici in grado di ottenere dei risultati più leggeri come lo “strappo”.

Le fonti antiche ci hanno tramandato il nome di alcuni artisti-restauratori. Il primo di essi fu un tal Gaius Avianus Evander, capace di stupire i romani con la propria abilità. Di origini ateniesi, fu trasportato come prigioniero a Roma, dove visse prima come schiavo e poi come liberto. Plinio (Nat. hist., xxxvi, 32) ci informa che, per incarico di Augusto, rifece la testa di Artemide della statua di Timoteo, che Augusto voleva porre nel tempio di Apollo sul Palatino. Da ciò si deduce che A. doveva possedere ottime qualità di copista.

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Nel mondo romano nacque anche il fenomeno del collezionismo, che si basa non più su di un interesse per l’opera d’arte per il suo fine esterno, ma sul suo intrinseco valore artistico. Questo atteggiamento è importante perché presuppone un interesse per quelle caratteristiche artistiche tipiche dell’opera e, dunque, una maggiore consapevolezza circa l’importanza della sua conservazione.

Nel mondo antico si faceva largo ricorso al reimpiego, pratica che passerà poi nel mondo medievale.

All’interno dell’Arco di Costantino (315) vennero adoperati due rilievi risalenti alla dinastia Flavia, riconoscibili per la resa differente dei panneggi. Per attualizzare le figure, la testa dell’imperatore Adriano venne sostituita con quella di Costantino.

Nel mondo medievale, persiste la visione strumentale dell’opera e l’arte cristiana riusa molte immagini antiche pur cambiandone i significati.

Emblematico è il caso dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna), fatti demolire da Teodorico perché probabilmente veicolavano messaggi politici o religiosi che non potevano essere accettati. Furono modificate le vedute dei palazzi e le zone dove ora si possono vedere le due grandi Teorie di Sante e di Santi. Nel palazzo, laddove oggi c’è uno spazio vuoto al di là delle tende, dovevano esserci delle figure, perché sulle colonne laterali sono visibili delle mani.

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Nel Medioevo, il capolavoro antico possedeva una certa valenza e veniva utilizzato per caricare le opere moderne di ulteriori significati. Oggetti emblematici il tal senso sono lecroci gemmate, sulle quali venivano incastonate gemme, cammei o testine antiche. È il caso della Croce di Lotario, recante un cammeo di Augusto, e di una Croce conservata a Colonia, che nella figura di Cristo ha inserita una testina in lapislazzuli di epoca romana, probabile ritratto dell’imperatrice Livia.

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