Il David di Gian Lorenzo Bernini: tutta la potenza in uno sguardo

A cura di: L’Asino d’Oro Associazione Culturale

In Storia dell’Arte appena si parla di David, il pensiero corre subito al capolavoro supremo di Michelangelo. Ma anche l’artista più poliedrico del 1600, Gian Lorenzo Bernini, realizzò un David straordinario, un’opera giovanile, che egli modellò sapientemente nel marmo, quando aveva solo 25 anni.

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L’artista ricevette la committenza dal cardinale Scipione Borghese nel 1623 – completandola nel 1624 – e la sua realizzazione segue l’ormai consolidata tradizione iconografica dello scolpire l’eroe biblico, già sperimentata dai grandi artisti rinascimentali come Donatello, Verrocchio e il già citato Michelangelo. Il David rinascimentale però viene solitamente immortalato in posa eretta, immobile, meditativo, consapevole della propria virtuosa superiorità. Nulla di tutto ciò compare invece nell’opera del Bernini: l’artista infatti rappresenta il David nel momento in cui l’eroe biblico, armato solo di una fionda, affronta il gigante Golia, chiamato dai Filistei per combattere contro l’esercito israelita del re Saul. Ciò che quindi Bernini decide di fare, è andare contro ogni precedente tradizione, catturando l’attimo, il momento esatto di massimo sforzo fisico nella lotta: la muscolatura tesa e il torace incurvato fissano la scena nel marmo, restituendo una rappresentazione di stupefacente istantaneità. E’ proprio l’idea di immobilità a rendere al meglio il momento di massima tensione, quell’attimo sospeso tra i due movimenti contrapposti del corpo che prima si carica e poi si rilascia per lanciare la pietra.

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L’opera in origine era sostenuta da un basamento più piccolo di quello attuale, un accorgimento tecnico che aumentava il coinvolgimento dello spettatore nello spazio dell’azione drammatica. Fu inoltre concepita per essere addossata ad una parete della Sala del Vaso (l’attuale Sala I di Galleria Borghese), ecco perché la parte posteriore non è particolarmente rifinita. Ma proprio questa posizione esaltava nello spettatore la percezione dello  sviluppo dell’azione, attraverso la torsione del corpo e delle braccia contratte sulla fionda, fino ad arrivare alla visione del volto concentrato nello sforzo del momento. Nel volto del David così ritratto, con la fronte corrucciata e le labbra serrate, sembra che il Bernini abbia riprodotto il proprio volto, una sorta di autoritratto in cui l’espressione di fatica dell’eroe è l’immagine dello sforzo dello scultore mentre vince la durezza del marmo. Un aneddoto molto curioso racconta che il cardinale Maffeo Barberini – futuro papa Urbano VIII – fosse presente durante il lavoro, reggendo proprio lo specchio in cui Bernini si osservava per potersi ritrarre.

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Osservando attentamente l’opera si noterà infine che, a terra, vi sono la corazza donata a David dal re Saul – che l’eroe decise di non indossare perché troppo grande e pesante – e una cetra, altro attributo dell’eroe, che suonerà dopo la vittoria e che qui è significativamente terminante in una testa d’aquila, evidente testimonianza della committenza e dell’intento celebrativo della casata della famiglia Borghese.

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L’eroe biblico del Bernini è quindi un’interpretazione nuova rispetto agli esempi rinascimentali, in un certo senso quasi più profana che religiosa. Rispetto all’eroe meditativo, che domina gli eventi e guida le sue stesse forze con l’uso della ragione, il David è un atleta nel pieno dello sforzo fisico, tutto avvitato su sé stesso, quasi un ritorno alle opere dell’età classica. E anche in questo senso si può vedere la passione che il suo potente committente, il cardinale Scipione Borghese, nutriva per l’antichità, ponendosi quindi come un’allegoria delle virtù eroiche, più che come un soggetto biblico offerto alla meditazione religiosa.

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