Il collezionismo mediceo e il recupero dell’antico nella Firenze del Rinascimento

Di Laura Corchia

Fino alle requisizioni compiute in età napoleonica, l’Italia mostrava i propri tesori esibendoli pubblicamente alla vista in una sorta di museo all’aperto.

Mentre in Italia settentrionale le opere si celavano all’interno di chiese e palazzi, a Firenze il recupero dell’antico avvenne essenzialmente attraverso il sussidio di descrizioni e trascrizioni grafiche, di raccolte di disegni e rilievi.

Apollo seduto, copia romana, Galleria degli Uffizi
Apollo seduto, copia romana, Galleria degli Uffizi

Sotto la spinta degli umanisti, a Firenze venne istituito un insegnamento pubblico di greco e, di conseguenza, si iniziarono a raccogliere opere d’arte antica. Sarcofagi, frammenti scultorei, cammei, gemme vennero utilizzati come sussidio visivo per lo studio dell’antico.

Ad eccezione di Giovanni Rucellai, che nello Zibaldone dichiara il suo orgoglio di moderno mecenate nel raccogliere nella sua dimora le opere di ragguardevoli artisti contemporanei, risulta preponderante la richiesta di oggetti antichi.

Cosi Poggio Bracciolini, nel tentativo di ricreare nella sua villa una biblioteca sul modello di quella ciceroniana, si fa inviare dalla Grecia alcuni busti e ritratti di uomini illustri.

Niccolò Niccoli invece, oltre alla ricchissima biblioteca, si circonda di preziosi oggetti antichi. Sappiamo infatti che egli acquista un calcidonio attribuito a Policleto e passato poi ai Medici.

Leggi anche  Collezionisti, mercanti, restauratori e falsari tra Ottocento e Novecento

Il collezionismo mediceo è attestato da una vastissima letteratura. Sappiamo dal Ghiberti e dal Vasari che Cosimo acquistò una corniola recante inciso il mito di Apollo e Marsia. Nei suoi commentarii il Ghiberti ci informa di aver forgiato per questa pietra una montatura in oro a forma di drago, ma scambia il contenuto per un’allegoria delle tre età dell’uomo. Un secolo e mezzo dopo il Vasari individua correttamente il tema inciso e sottopone a critica sia la provenienza che l’autore della gemma.

Il Filarete ci offre invece la descrizione degli oggetti raccolti da Piero de’ Medici: libri in latino e in volgare, sculture greche, cammei, ritratti di uomini illustri.

La caduta di Fetonte. Cammeo in corniola Tesoro de' Medici  sec.XV (?)
La caduta di Fetonte. Cammeo in corniola
Tesoro de’ Medici
sec.XV (?)

Con l’avvento al potere di Lorenzo,  le collezioni dei suoi predecessori ricevono una stabile collocazione all’interno e nei cortili del palazzo di via Larga documentata dagli inventari e dalle numerose descrizioni coeve, come la lettera di Niccolò dè Carissimi da Parma a Francesco Gonzaga. Da questa fonte sappiamo infatti che il conte Galeazzo Maria e la sua compagnia visitarono le parti più nobili del palazzo, in particolare studioli, camere, sale giardino. Ne segue una dettagliata descrizione degli ornamenti.

Leggi anche  Dalla biennale borbonica alla società promotrice di belle arti

La precisa disposizione delle sculture antiche e moderne doveva trasmettere messaggi e significati ben precisi, come la condanna alla tirannide, e stimolavano un immediato paragone tra classicità ed età contemporanea.

Sul fregio del cortile esterno si trovavano scolpiti otto medaglioni di iconografia greca che, con molta probabilità, rappresentavano una divulgazione dei pezzi di glittica antica conservati nel tesoro di famiglia e nello studiolo all’interno del palazzo.

Sulle pareti della camera a pian terreno  erano esposti i tre dipinti eseguiti da Paolo Uccello con la Battaglia di San Romano e altre tre tavole raffiguranti cacce e lotte di draghi e leoni. Un pubblico in sintonia con la cultura di Cosimo avrebbe senz’altro colto il significato di tale disposizione: il dominio della ragione sulla violenza e sull’irrazionalità.

Nella sala al primo piano, invece, si trovavano le tavole con le fatiche d’Ercole eseguite dal Pollaiolo che trasmettevano un altro preciso messaggio: la condanna della tirannide.

Antonio del Pollaiolo, Ercole e l'idra, tempera grassa su tavola, 1475, Galleria degli Uffizi, Firenze
Antonio del Pollaiolo, Ercole e l’idra, tempera grassa su tavola, 1475, Galleria degli Uffizi, Firenze

Lo scrittoio o studiolo di Piero di Cosimo, descritto dalle Rime in lode di Cosimo era stato decorato da Luca della robbia con 12 medaglioni in terracotta invetriata raffiguranti i lavori dei mesi. I colori di questo materiale e la stessa tecnica di esecuzione stabilivano un legame visivo con gli  oggetti rari e preziosi che erano custoditi in questo ambiente: porcellane moresche, piatti cinesi e pezzi esotici. Vi erano esposti, inoltre, reperti naturali, piccoli dipinti e oggetti antichi.

Leggi anche  La pittura parietale romana: artificio, meraviglia, gusto per il paesaggio

E proprio a questi ultimi era rivolta la passione di Lorenzo, il quale usava contrassegnare i pezzi di glittica più pregevoli con le proprie iniziali.

Le collezioni e le opere della famiglia Medici erano inoltre esposte  all’interno del giardino di San Marco. Il Vasari, in due passi delle vite del Torregiano e di Michelangelo, ci dice infatti che questo spazio era stato adibito ad ambiente di studio da Lorenzo. I giovani artisti di nobile estrazione avevano qui la possibilità di esercitarsi a copiare i preziosi capolavori di arte antica che si conservavano in questa sorta di accademia all’aperto e che, sempre a detta del Vasari, furono vendute all’incanto dopo la cacciata dei Medici da Firenze per poi essere restituite nel 1512 al duca Giuliano de’ Medici.

La cacciata e il saccheggio dei beni della famiglia ci vengono descritti dal Varchi nella sua Istoria fiorentina dal 1527 al 1530.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento