Il cimitero di Staglieno: anima et corpore unum

di Mario Gambatesa

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro? Questi i primi versi del carme maestoso “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo scritto dopo l’Editto di Saint- Cloud, che, per ragioni igienico sanitarie,  prevedeva lo spostamento  dei cimiteri fin ad allora all’interno delle città, al di fuori di esse. Foscolo, ammira la potenza illusoria che presenta un cimitero e con essa un funerale ed infine la sepoltura: tali riti  non servono ai morti,  ma ai vivi coloro che ancora a solcare ,anima et corpore unum, i sentieri di  questa terra, sperano di mantenere ancora in vita attraverso tali strumenti “gli amorosi sensi” che avevano con il defunto.  Oltre la realtà nuda e cruda di luoghi ben strutturati  di  corpi e ossa tumulati, il poeta fa notare l’insostituibilità per i vivi e anche per sé stesso di tali eventi. Ogni paese o città italiana presenta cimiteri e la loro strutturazione è simile.

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Particolare invece, per il numero cospicuo di statue e la loro “macabra” o triste  bellezza, è il cimitero di Stagliano, della città di Genova.  L’idea di costruire un cimitero monumentale e di così grande portata, nacque in seguito al decreto del 1832 emanato da Re Carlo Alberto, che vietò imperativamente la tumulazione all’interno delle mura cittadine e nelle chiese, per ragioni di salute pubblica. I lavori di progettazione furono affidati, due anni dopo tale decreto, ad un noto architetto genovese Carlo Barabino. Il suo nome era già pieno di rispetto e di stima nell’ambiente genovese, come testimoniavano le opere da lui realizzate: ne sono un esempio il Teatro Carlo Felice e il Palazzo dell’Accademia, due opere di grande fascino che abbracciavano a pieni voti lo stile neoclassico.

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Quando arrivò l’approvazione del progetto in maniera definitiva nel 1840, l’architetto Barabino morì, consegnando nelle mani del suo allievo Giovanni Battista Resasco, le redini del progetto. Il cimitero di Staglieno ha una configurazione architettonica classica, comunemente nota in Italia nella metà dell’800. La forte peculiarità e il suo gran fascino viene determinato dalla fusione che egli ha con la natura: un complesso di forme che pronuncia un riferimento ai cimiteri della cultura nord-europea, come ad esempio il Père Lachaise di Parigi, abbraccia 300.000 metri quadrati di terreno, scolpito di sculture e architetture in perfetto connubio reciproco e con la  natura circostante.  Ciò che è possibile scorgere in questo esteso luogo monumentale, è una vasta raccolta di linguaggi artistici di oltre un secolo, dal Neoclassicismo al Realismo, dal Simbolismo al Liberty: all’interno dei viali di Staglieno possiamo ritrovare opere di Santo Varni, Giulio Monteverde, Domenico Carli, Eugenio Baroni, solo  per citarne alcuni .

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Inoltre, sono molti i personaggi che hanno rappresentato la nostra storia e la nostra cultura che hanno trovato sepoltura all’interno del cimitero di Genova: possiamo ritrovare la tomba di Mazzini, oppure di Nino Bixio, grande patriota e protagonista indiscusso della spedizione dei Mille, i genitori di Goffredo Mameli, autore dell’inno nazionale della Repubblica Italiana, o ancora, Mary Constance Wilde, moglie dello scrittore inglese Oscar Wilde, oppure il cantautore genovese Fabrizio De Andrè.  Il Cimitero Monumentale di Staglieno, oltre ad essere un monumento o meglio, un vero e proprio museo d’arte di inestimabile valore, è senza dubbio l’emblema e l’orgoglio dei cittadini e dell’Italia stessa.

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Eternato anche da Hemingway, che lo descrisse come una delle meraviglie del mondo, il cimitero di Staglieno si inserisce nella più profonda condizione vitale dell’ essere umano, egregiamente descritta da alcuni endecasillabi del carme Foscoliano:

Celeste è questa

corrispondenza d’amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l’amico estinto

e l’estinto con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall’insultar de’ nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

e di fiori odorata arbore amica

le ceneri di molli ombre consoli.”

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