Il “Bacio” di Hayez: tre versioni, un unico significato

di Selenia De Michele

“Aspasia vi appariva con la testa reclinata all’indietro, il busto un pò avvitato in una torsione dei fianchi, il pube sporto all’infuori, la schiena angolata, i muscoli addominali tesi, la testa abbandonata tra le mani di Jacopo. La mani di Jacopo ad agguantare, reggere, carezzare la testa di Aspasia, la sinistra dietro la nuca, la destra aperta a ventaglio sulla guancia esposta. Le mani di Aspasia abbracciate a Jacopo, una sulla spalla sinistra, l’altra sulla scapola destra passata in silenzio sotto l’ascella, tra le pieghe del mantello. Così li vide Francesco Hayez e subito nella sua testa abbozzò uno schizzo, buono per dipingere una tela di piccole proporzioni quando, in un futuro più o meno prossimo, fosse venuto il momento di suggellare malinconicamente nel ricordo, con una scena di conturbante sensualità la fine di un’epoca che era stata tanto diversa dal sapore del presente.” 

(Una storia romantica di Antonio Scurati – pag. 286)

Da un recente sondaggio comparso su “La Stampa” per 8 italiani su 10 il più bel bacio di sempre è quello di Francesco Hayez il quadro che il celebre pittore dipinse in tre versioni tra il 1859 e il 1879 e che sono attualmente esposte insieme, l’una accanto all’altra, a Milano nelle sale delle Gallerie d’Italia insieme ad altre opere dell’artista in una mostra dedicatagli. Certo è che, oltre al potere straordinariamente evocativo dell’amore romantico per eccellenza di cui il quadro è diventato portavoce, oltre ad essere stato fonte di ispirazione per film (celebre la scena di “Senso” di Luchino Visconti), Hayez seppe abilmente trasportare in pittura, così come Verdi e Manzoni fecero in musica e letteratura, il riflesso delle inquietudini risorgimentali.

Francesco Hayez ( Venezia, 10 Febbraio 1791 – Milano, 21 Dicembre 1882) è stato, giustamente, considerato il massimo esponente italiano del Romanticismo storico. La sua produzione pittorica vanta numerossime opere la maggior parte delle quali sono accomunate dall’essere opere “criptate”, portatrici di messaggi politici opportunamente nascosti. Il celebre “Bacio” è sicuramente una di queste e non a torto è diventato il manifesto del Romanticismo italiano.
“Il Bacio” è un olio su tela di 112 x 88 cm realizzato nel 1859 e poi replicato in quattro successive versioni negli anni successivi, di cui  tre su tela e una su acquerello. Il dipinto fu commissionato da Alfonso Maria Visconti di Saliceto che alla propria morte lo donò alla Pinacoteca di Brera dove è tuttora conservato.

Leggi anche  Morske Orgulje: a Zara le onde marine diventano musica! Il video dell'organo realizzato da Nikola Bašić
intorno-al-bacio-di-hayez
La versione del 1859

La prima ed ufficiale versione del dipinto fu presentata nel 1859 all’Esposizione annuale dell’Accademia di Brera appena tra mesi dopo l’ingresso a Milano delle truppe sabaude di Vittorio Emanuele II e dell’imperatore francese Napoleone III  i quali con la vittoria di Solferino del 24 Giugno 1859 liberarono il lombardo-veneto dagli Austriaci.

Ciò che colpisce immediatamente chiunque si trovi di fronte questo dipinto è la carica di sensualità che unisce e scaturisce dall’abbraccio dei due amanti. La scena è ambientata in un contesto medievale come si evince dagli abiti dell’uomo, cui fa contrasto quello di foggia ottocentesca della donna, e dall’architettura ma in realtà è una scena estremamente attuale al periodo di realizzazione sia per il significato sia per il soggetto iconografico raffigurato, il bacio appunto che è del tutto nuovo. L’ambientazione medievale trova la sua spiegazione in una prassi diffusasi largamente durante il romanticismo risorgimentale dove si usava rappresentare le pulsioni risorgimentali di lotta allo straniero in contesti antichi ed in particolare quello medievale considerato culla delle grandi potenze nazionali.

Il soggetto iconografico riprende un tema che Hayez aveva già trattato nel 1823 in “L’ultimo bacio dato da Giulietta a Romeo”, con esiti completamente diversi, eppure con alcuni tratti in comune. Si pensi ad esempio al piede di Romeo già appoggiato sulo scalino sotto la finestra e la mano aggrappata alla colonna della bifora mentre ruota la testa per baciare la dolce Giulietta. La posa stessa dei due tragici amanti è ripresa quasi letteralmente. Da sottolineare la resa finale del medesimo soggetto: da un lato una scena passionale ma pervasa da una sensazione di quiete, dall’altro, nonostante la forte assenza di dettagli, una passione di forte impatto e immediatamente percepita.
In passato, a causa di una superficiale analisi iconografica, la sagoma in penombra sullo sfondo è stata ripetutamente ed erroneamente confusa e interpretata come quella di un uomo che spia furtivo la scena o, piuttosto, giunto improvvisamente al fine di sollecitare il giovane patriota all’imminente dipartita.

Leggi anche  Luigi Pirandello: "Le anime". Una bellissima riflessione del grande scrittore e drammaturgo siciliano
La versione dipinta nel 1861
La versione dipinta nel 1861

Il bacio riscosse enorme successo presso il pubblico contemporaneo sia per il messaggio allegorico–politico al quale allude, elevandosi a simbolo della giovane nazione, sia per l’efficacia della sua composizione scenografico-teatrale, dove il sentimento è espresso anche per mezzo del linguaggio pittorico altamente qualitativo nelle tonalità accese e contrastanti dell’azzurro dell’abito femminile, del bruno del mantello e del rosso brillante della calzamaglia del giovane, colore questo, non a caso, particolarmente caro agli artisti veneziani.
L’uso simbolico del colore è arricchito dalla ricerca di delicate vibrazioni cromatiche nel trattamento delle stoffe lucenti che imitano il raso, memori della lezione veneta di Giorgione e Tiziano Vecellio, su cui Hayez aveva fondato il proprio stile.
Ponendo maggiore attenzione, si comprende come la flessuosa figura della ragazza, ritagliata fra il rosso della calzamaglia e il bruno del mantello del giovane amato, è impreziosita dai riflessi cangianti e lucenti della veste aderente al busto e gonfia di pieghe al di sotto dei fianchi, accentuando ulteriormente, in tal modo, il virtuosismo luministico di eredità neoclassica.
Il fascino dell’opera, quindi, è rappresentato dall’abbigliamento medievaleggiante dei personaggi, dai loro volti nascosti, dalla raffinata luminosità dell’abito di raso che la donna indossa, dall’atmosfera nostalgica e sofferta del distacco, che rende commovente il gesto dei due amanti. L’azione compiuta si trasfigura, dunque, in una passione intensa e profonda, che li unisce in un legame indissolubile, capace di resistere anche alla morte. La fonte di luce proviene da sinistra, investendo le figure dei due giovani, le cui ombre vengono proiettate sulla destra della parete lapidea.
La critica è unanime nel proporne un’interpretazione in chiave risorgimentale il cui messaggio politico è avallato da alcuni elementi come l’architettura dello sfondo, dall’incerta ambientazione spazio – temporale,  che acquisisce un carattere indefinito e universale, elevando la scena a simbolo dell’amor patrio e del sentimento passionale. Il volto del giovane ammantato è coperto dal berretto piumato e il piede sinistro poggiante sul gradino suggerisce una gran fretta di fuggire via dopo l’estremo saluto. Il pugnale dell’uomo, la cui impugnatura preme contro un fianco della fanciulla, allude all’imminente lotta contro gli invasori austriaci. L’azzurro freddo e lucente delle veste della giovane donna e il rosso della calzamaglia dell’uomo alludono ai colori del tricolore francese: non bisogna dimenticare che la Francia divenne alleata dell’Italia a seguito degli accordi di Plombières, stipulati verbalmente nell’omonima cittadina termale francese il 21 luglio 1858 fra l’Imperatore Napoleone III e il Primo ministro del Piemonte, Camillo Benso Conte di Cavour.

Leggi anche  “Nel mio cielo al crepuscolo”: una poesia di Pablo Neruda
La versione dipinta nel 1867
La versione dipinta nel 1867

Nelle successive tre versioni del soggetto il valore allusivo della gamma cromatica si fece sensibilmente più esplicito con conseguente tono celebrativo dell’impresa unitaria. Nello specifico nella terza versione del 1861, anno dell’Unificazione, Hayez sostituisce l’azzurro della veste con il neutro bianco, come una decisa dichiarazione di amore patriottico per l’avvenuta e tanto agognata Unità d’Italia. Infine, la quarta e (pare) ultima delle versioni, del 1867, presenta l’aggiunta di un drappo bianco disteso in modo irregolare lungo la gradinata dell’interno – come scivolato improvvisamente dalle spalle della ragazza – che assieme all’azzurro delle veste femminile, al verde del risvolto del mantello dell’uomo e al rosso squillante della sua calzamaglia alluderebbero ai due tricolori, italiano e francese. Fu questa secondo gli storici la versione inviata all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, ove la scelta dei due tricolori dell’Allenza franco-italica e il celato significato allegorico-patriottico fu sottilineata dallo stesso Hayez.

RIPRODUZIONE RISERVATA