Hieronymus Bosch: tra dannazione e redenzione

di Federica Rubino

Il pittore Hieronymus Bosch, pseudonimo di Jeroen van Aken, operò a cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento nelle terre dei duchi di Borgogna. La sua pittura presenta dei tratti misteriosi, allegorici, ed è per questo che il suo stile può essere considerato un sincretismo tra i caratteri della cultura medievale, pregna di simbolismo ed esoterismo, e le istanze umanistico-rinascimentali, le quali ponevano al centro della riflessione intellettuale l’uomo nelle sue mutevoli forme. L’opera certamente più nota dell’autore è Il Giardino delle Delizie, facente parte del Trittico delle Delizie in cui Bosch raffigura il Paradiso Terrestre nello sportello sinistro, il Giardino nell’ala centrale e l’Inferno musicale nello sportello destro.



Nel Giardino regna indiscussa un’anarchia dionisiaca, una lussuria latente e a volte solo leggermente sottesa, un clima di festa in cui i protagonisti non sembrano divertirsi poi molto, contrariamente a ciò che le loro azioni potrebbero presagire, in una fusione di tragedia e commedia: costellato di nudi maschili e femminili, l’opera assume un carattere quasi enciclopedico, come la Divina Commedia dantesca, poiché presenta una raccolta figurativa articolata e intrigata di comportamenti umani e la varietà delle delizie terrene, di specie animali e vegetali delle più svariate dimensioni e qualità secondo il mezzo espressivo del simbolismo proporzionale per cui oggetti piccoli divenivano enormi, di edifici dalle forme immaginifiche, partoriti da una fantasia artistica fortemente innovativa per quella temperie artistico-culturale. Riconoscersi ed identificarsi in un qualsiasi personaggio del quadro, e sentirsi parte della complessità di quel mondo che è anche il nostro, è il compito dell’osservatore. Bosch, o El Bosco come lo chiamavano nella penisola iberica, mediante la sua arte attenta ai linguaggi a egli stesso coevi, ha il merito di appianare le divergenze culturali, etniche, sociali, ponendo l’essere umano sull’unico e comune terreno della follia umana, rivolgendosi universalisticamente all’umanità: una misteriosa follia simboleggiata dalla frenesia dei personaggi, dal peccato palese, dalla presenza di innumerevoli esseri inesistenti in natura e dal turbinio delle numerose scene surreali e oniriche presenti, intrise di suspense. L’elemento figurativo preponderante nell’opera è un frutto dal colore rosso intenso, una sorta di frutto della passione inteso in senso letterale, che esprime la forza del desiderio, dal profilo quasi demoniaco e mistico, e che sicuramente si distacca dalla luminosità tenue e fiabesca  dei soggetti e oggetti raffigurati, risaltando: infatti, il fil rouge delle opere del primo Bosch può considerarsi il fascino nei confronti dell’occulto, l’attrazione verso le pratiche magiche, componente evidente anche nello stesso Giardino, nella corsa circolare e forsennata proprio nel centro del dipinto la quale potrebbe voler esprimere la messa in atto di un vero e proprio rituale ai limiti del macabro. Nella figura di Bosch, nella sua vita artistica, si verifica un’intima sintesi di ciò che è arcano, della perversione, della trasgressione, della colpa – tipici della fase iniziale delle sue creazioni – e della redenzione, dell’armonia celeste, del trascendente. Bosch ai suoi contemporanei piacque talmente tanto da ritenere ortodosse le sue opere che furono posizionate in cappelle private e cattedrali, ma è chiaro che la sottile laboriosità dell’iconografia boschiana, con i suoi riferimenti metafisici, non venne colta a pieno; ma, il pittore fiammingo affascina ancora e in maniera inesorabile, nonostante il trascorrere dei secoli, non solo per la sua inimitabile e inimitata originalità, ma forse perché inconsciamente ognuno di noi crede che egli sia un autore drammaticamente realista.

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