Henry Moore: forme della natura, forme del tempo

di Laura Corchia

“La figura umana è ciò che m’interessa maggiormente, ma ho scoperto i principi della forma e del ritmo nello studio di oggetti naturali, quali ciottoli, rocce, alberi, piante, ecc. Le ossa hanno una meravigliosa forza strutturale e un alto grado di tensione formale, passano impercettibilmente da una forma all’altra e presentano un’estrema varietà”.

Con queste parole, l’artista britannico Henry Moore (1898-1986) descrive la sua idea di scultura, attività alla quale si dedica per tutta la sua esistenza. Come molti degli artisti passati e presenti, egli guarda alla natura come grande maestra e fonte di ispirazione, si lascia suggestionare ed incantare, afferra lo scalpello e libera l’immagine che la sua mente ha prefigurato. Affascinato dalla materia, avverte in essa qualcosa di vivo e palpitante e, a tal proposito, ricorda: “Qualunque scultura faccia assume nella mia mente una personalità umana o, in altre occasioni, animale, e questa personalità domina il suo disegno e le sue quantità formali”. Questa idea di materia, questo modo di scolpire, questa prefigurazione, ci ricordano un altro grande artista: Michelangelo.

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Moore nasce a Castleford, nello Yorkshire, nel 1898. Figlio di un minatore, viene chiamato alle armi, ma poco dopo viene congedato in seguito ad un’intossicazione da gas. Nel 1919 si iscrive alla Scuola d’Arte di Leeds e successivamente si trasferisce al Royal College di Londra. Tra una lezione e l’altra si reca nei maggiori musei della città, dove ha modo di studiare da vicino l’arte classica, rinascimentale e primitiva. A tal proposito, egli racconta: “All’inizio le mie visite erano prevalentemente dedicate alla sezione egizia. Dopo qualche tempo, tuttavia, il fascino di quelle opere, ad eccezione di quelle delle prime dinastie, si affievolì ai miei occhi”. Ma le sorprese maggiori sono riservate alla grande sala etnografica, “in cui erano ospitate numerosissime sculture di una varietà e di una ricchezza straordinarie, provenienti dall’Africa, dall’Oceania, dall’America del Nord e del Sud, ammassate alla rinfusa come in un magazzino, al punto che mi accadeva ancora dopo centinaia di visite, di scoprire pezzi mai visti prima”.

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La sua vera fonte di ispirazione, come si è detto, resta la natura. Secondo il suo pensiero, essa “Fornisce allo scultore un repertorio illimitato di forme e di ritmi, che gli permette di arricchire immensamente la propria idea della forma” e, pertanto, si mostra particolarmente interessato allo studio di minerali, conchiglie, fossili, selci ed ossa che, nella loro misteriosa ed affascinante bellezza, sembrano scolpiti dalle mani di Dio. Moore asseconda e lavora la materia come fa la natura, capace di smussare angoli ed escrescenze con dolcezza e delicatezza, attraverso un dialogo muto e paziente.

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Negli anni Venti, lo scultore si avvicina agli ambienti del Surrealismo e dell’Astrattismo, visita l’Italia e, dopo il secondo conflitto mondiale, la sua fama artistica si consolida a livello internazionale. In questo periodo, le sue sculture iniziano a presentare dei buchi e, poco più tardi, assumono dimensioni monumentali. Molte delle sue opere, eseguite tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sono pensate per una collocazione all’aperto, a diretto contatto con la natura. Temi tradizionali sono  la donna sdraiata e la madre con figlio, eseguiti con sapiente tecnica artigiana.

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Tra le tante opere eseguite dall’artista, citiamo in questa sede la Figura giacente, realizzata nel 1936 in legno di olmo. La figura, una donna sdraiata, presenta forme plastiche e sinuose, ma non è riconoscibile, avendo raggiunto un alto grado di astrazione. La materia è trattata per apparire perfettamente levigata, come se su di essa fosse intervenuta la forza del mare.

Il tema della maternità è esemplato da Madre distesa con bambino, un bronzetto databile tra il 1974 ed il 1975. La figura femminile, della quale si riconoscono appena i seni acuminati, ha poggiato sul grembo il figlio, il cui corpo è reso con forme completamente astratte e prive di elementi naturalistici.

Stringed Figure 1938, cast 1960 Henry Moore OM, CH 1898-1986 Presented by the Friends of the Tate Gallery 1960 http://www.tate.org.uk/art/work/T00386
Stringed Figure 1938, cast 1960 Henry Moore OM, CH 1898-1986 Presented by the Friends of the Tate Gallery 1960 http://www.tate.org.uk/art/work/T00386

Moore si dedica anche ad altri soggetti, come le Stringed Figures, realizzate combinando legni di vario genere con trame di cavi metallici o di corde colorate. Queste si tendono, circoscrivono un volume, lo attraversano creando uno spazio interno alla forma. In queste opere ritorna l’interesse per l’arte primitiva africana e, in particolare, per alcuni intagli a foggia di “uccelli in gabbia” provenienti dalla Nuova Irlanda ed attentamente studiati durante le giornate passate al British Museum. La scultura dal titolo Uccello-Canestro, eseguita nel 1939, associa l’idea dello spazio chiuso e circoscritto dell’involucro a quella di un contenuto fragile, che richiama alla mente l’idea di volo e di libertà. Questa scultura, come le altre realizzate con il ricorso alla corda, viene definita da Moore come “la più astratta espressione della mia opera”.

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La sua incessante ricerca artistica, il suo modo di pensare e vedere l’arte e la natura, si concludono nel 1986, quando l’artista si spegne serenamente. All’indomani mattina, il Daily Telegraph lo saluta come “il più acclamato dagli inglesi, almeno a partire dalla morte di Winston Churchill”. Le sue opere, figlie di un estro inesauribile e di un linguaggio artistico singolarissimo, rappresentano il felice connubio tra natura e materia, perennemente in bilico tra casualità ed intelletto, autentiche come un antico legno eroso dal mare, eterne come le rocce ed i metalli.

 

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA PER LA REDAZIONE DI QUESTO ARTICOLO:

  • Giorgio Cricco, Francesco P. Di Teodoro, Itinerario nell’arte vol. 3 – Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, Zanichelli Editore;
  • Giovanna Uzzani, Henry Moore, Collana “Grandi Scultori”, Gruppo Editoriale l’Espresso, 2005;
  • G. Dorfles, F. Laurocci, A. Vettese, Storia dell’arte – volume 3, Atlas.