Gli Dei a colori: la segreta policromia delle statue antiche

di Tiziana Vizzino

 “Ancora oggi – scrive Hermann Born – non solo i visitatori di musei e di mostre e i milioni di turisti nei paesi mediterranei non vengono informati correttamente e in modo aggiornato sul tema policromia della scultura e dell’architettura nel mondo antico. La realtà della pittura antica su pietra è ancora oggi ignorata o negata da molti archeologi”.

 

La tradizione del classicismo rinascimentale e di accademismo neoclassico ci ha abituati alla monocromia delle statue, situazione ben lontana dallo stato originale delle sculture fino a tutto il quattrocento.

Nel Medioevo le numerose sculture lignee dipinte ci testimoniano l’aspetto della maggior parte delle statue che adornano le chiese. Dai documenti  talvolta sappiamo anche il nome degli autori delle policromie: Martino di Bartolomeo è l’autore della colorita originale dell’Annunciazione di Jacopo della Quercia a San Gimignano, ancora nel 1508 Lorenzo di Credi dipinge il Crocifisso di legno fatto da Benedetto da Maiano per il Duomo di Firenze.

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La pratica di colorire anche le sculture in marmo ed in pietra probabilmente cessò in parte per il desiderio di lasciare in vista i materiali più pregiati ( come era avvenuto per il bronzo, tutt’al più ravvivato da dorature o argentature) ed in parte per imitare le sculture antiche che venivano ritrovate ormai prive della loro policromia.

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Numerosi sono i casi di colorature parziali. Gli esempi  che si incontrano comunemente sono quelli di applicazioni di oro o azzurro oltremarino sui marmi.

Le terrecotte invetriate dei Della Robbia ci offrono indicazioni abbastanza precise sul gusto per la policromia tra quattrocento e cinquecento: in genere vi si trovano le figure bianche ad imitazione del marmo, i fondi azzurri e (a parte i casi di policromia completa) alcuni gialli, ad imitazione di dorature, e verdi. In statue come il San Luca di Nanni di Banco si trova ancora traccia della coloritura dei capelli; nel monumento Marsuppini di Desiderio da Settignano il drappo del catafalco ha ancora resti di una colorazione verde.

Un altro criterio che può aiutare a capire se una statua era o no colorata (salvo casi di palese imitazione dell’antico) può essere la mancanza completa di ogni segno inciso che rappresenti le pupille di una figura.

Un indizio di un certo orientamento del gusto verso le sculture policrome può essere la coloritura di statue di terracotta o di legno ad imitazione del marmo, come quelle di Antonio Begarelli (1499-1565).

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Un altro problema legato all’aspetto originale della sculture è quello delle patinature. Esse ci sono testimoniate con sicurezza per il restauro delle statue antiche fino al Riposo di Raffaello Borghini (1584) dove, dopo aver consigliato i modi più opportuni per riapplicare le parti nuove o staccate, si specifica  “a dare il colore antico al marmo, alcuni pigliano della fuliggine, e la pongono al fuoco di aceto, ovvero in orina, tanto che abbia tingono il marmo. Altri pigliano della cannella e dè garofani, e gli fanno bollire in orina (e tanto più bollano, tanto si fa più oscura la tinta) e di questa cosa calda danno una o due volte sopra il marmo. Altri (perché si trovano marmi antichi di diversi colori)per poter meglio contraffargli, prendendo più colori da dipintori, e gli vanno mesticando insieme con olio di noce, finché trovino il colore che desiderano …”.

Il colore rossastro che spesso si trova su molte statue era il risultato di applicazioni di colofonia, mentre una colorazione giallastra può essere semplicemente la conseguenza di unzioni subite da una scultura per trarne il calco.

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L’importante è non dimenticare che gli antichi scultori tenevano in considerazione il diverso colore dei marmi e che potevano ricorrere a queste coloriture artificiali, nate probabilmente per raccordar meglio fra loro marmi di qualità diversa ( come accadeva nel restauro delle anticaglie) quando sembrasse loro necessario (come per attutire l’effetto di venature inopportune del marmo).

Ed ecco che il bianco del marmo che nell’antichità greca e romana non è stato mai bianco si rivela con una vasta gamma di colori, una trama di colori inimmaginabili solo ai nostri occhi moderni, ipnotizzati dalla concezione che si è imposta col neoclassicismo, da Winckelmann a Canova, del bianco colore del bello ideale.

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