Giovanni Secco Suardo e Ulisse Forni: manuali ottocenteschi di restauro a confronto

Di Laura Corchia

Nell’Ottocento si verificò una grande novità nel panorama del restauro: la nascita dei manuali. Ancora una volta, fu la Francia ad inaugurare questa tendenza.

I manuali francesi, dedicati esclusivamente al restauro dei dipinti mobili, si rivolgevano non solo ai professionisti del settore, ma anche ai collezionisti e agli “amatori” delle belle arti.

Il manuale più importante fu quello scritto da Horsin Déon, frutto degli appunti preparati per un illustre visitatore che desiderava orientarsi nel mondo del restauro. Nella prima parte del volume, sono affrontate le tecniche di restauro, mentre nella seconda vengono analizzati i principali artisti delle scuole pittoriche europee.

Nel manuale, Déon critica i restauratori italiani e questa fu la ragione che spinse Ulisse Forni a scrivere il suo Manuale del pittore restauratore.

Dopo l’esempio francese, anche gli italiani si dedicarono a scrivere manuali di restauro. Ciò avvenne per merito di Giovanni Secco Suardo, conte bergamasco, e di Ulisse Forni, pittore e restauratore fiorentino. Con i loro scritti, questi due personaggi determinarono anche la nascita di due scuole regionali di restauro: la scuola lombarda e la scuola toscana.

Giovanni Secco Suardo era appassionato collezionista e si dilettava anche di pittura. Durante i suoi viaggi in Europa, aveva visitato gli studi dei maggiori restauratori del momento e, durante questi incontri, aveva raccolto indicazioni e ricette. Nella sua casa, aveva allestito un laboratorio e nel 1866 decise di mettere nero su bianco tutte le sue conoscenze.

Di umilissime origini, Ulisse Forni frequentò l’Istituto di Belle Arti di Siena e poi soggiornò a Roma dal 1836 al 1841. Qui venne accolto all’Accademia di san Luca e si perfezionò negli studi artistici.

A Firenze, conobbe il Direttore delle Regie Gallerie, Antonio Ramirez Montalvo, che gli offrì un lavoro come aiuto restauratore. Oltre ad affiancare Francesco Acciai, Forni fu ispettore e consulente, occupandosi anche della progettazione o della valutazione di restauri che dovevano essere affidati a terzi o che erano già stati eseguiti.

Pontormo, Venere e amore, 1533. Opera restaurata da Ulisse Forni
Pontormo, Venere e amore, 1533. Opera restaurata da Ulisse Forni

Tra il 1850 e il 1860, Forni iniziò a scrivere su giornali e riviste specializzate e a collaborare con una piccola industria chimica che produceva colori.

Lo scontro con Giovanni Secco Suardo avvenne nel 1864, in occasione di un corso di aggiornamento sul restauro organizzato dalle Gallerie Regie. Il conte bergamasco, più che insegnare, cercò di imporre i metodi di lavoro della scuola lombarda. Inoltre, a scopo dimostrativo, effettuò dei trasporti di colore da tela su tavola e lo strappo dei dipinti murali raffiguranti Le tentazioni di san Benedetto del Bronzino. Questo metodiche, non condivise dai restauratori fiorentini, furono oggetto di aspre polemiche, soprattutto perché lo strappo non riuscì perfettamente e le pitture ne uscirono danneggiate. Il Forni, inoltre, si sentì scavalcato ed umiliato, dal momento che era stato messo in una posizione di allievo.

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Intanto, nel 1865, Firenze divenne capitale e Ulisse Forni fu nominato primo restauratore.

Il Manuale del pittore restauratore venne pubblicato nel 1866 dall’editore Le Monnier, ma la sua stesura va anticipata a prima del 1864 perché nel proemio e nell’introduzione Forni non menziona il corso né Giovanni Secco Suardo.

Inoltre, al termine della prima parte erano presenti due appendici, una delle quali dedicata al metodo Pettenkofer[1] (dal nome del chimico igienista che lo mise a punto), presentato a Firenze nel 1865. Se queste considerazioni si trovano in appendice, vuol dire che il resto era già stato scritto.

La cronologia dell’opera è stata chiarita da una lettera del Forni datata 15 dicembre 1863. In essa si legge che il restauratore aveva già scritto il manuale, ma le ristrettezze economiche non gli permettevano di pubblicarlo.

Il manuale può essere diviso in tre parti:

  1. La prima, dedicata al restauro;
  2. La seconda, dedicata ai materiali per il restauro e ai procedimenti necessari per produrli;
  3. La terza, relativa ai colori.

Nel proemio, Forni sottolinea l’importanza della scuola fiorentina e parla della polemica col Déon. L’introduzione propone invece una rassegna di “opinioni” riguardanti il restauro.

Nella prima parte, Forni affronta prima le metodiche di restauro degli affreschi e poi di quelle a tempera e a olio.

Rispetto a Secco Suardo, Forni da al proprio manuale una impronta più manualistica. Parlando dello strappo, il restauratore accetta l’uso, ma solo come rimedio estremo.

Per riportare alla luce gli affreschi coperti da strati di intonaco, l’autore parla di un pastello in cera che si doveva sfregare sulla superficie per portare via delicatamente l’intonaco.

La pulitura presupponeva, secondo il Forni, una conoscenza approfondita della tecnica di esecuzione. Per la stuccatura, suggerisce di usare il buon fresco nelle grandi mancanze e la tempera nelle più piccole.

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Il restauro delle pitture a tempera deve essere preceduto da un intervento sul supporto: le tavole disgiunte o fratturate vanno riconnesse per mezzo di cunei a sezione triangolare.

Forni parla poi della parchettatura e dei normali interventi di fermatura e consolidamento.

La pulitura è descritta in base a diverse casistiche e con la piena consapevolezza del suo carattere irreversibile.

Segue la stuccatura, la cui buona riuscita è fondamentale per il successivo ritocco pittorico, che va eseguito in stile attraverso un tratteggio parallelo.

Circa la vernice, Forni predilige la resina Dammar alla mastice perché ingiallisce molto meno. Infine, la patina può essere ottenuta attraverso l’impiego di liquirizia, fuliggine, acqua di tabacco, asfalto e caffè.

Forni passa poi ad analizzare i metodi di intervento sui dipinti ad olio. Per il consolidamento del colore, dimostra di prediligere il metodo da tergo che, sfruttando la porosità della tela, fa penetrare colletta o altri materiali dal retro.

La ricetta della colla pasta che descrive Forni è a base di farina, colla di pesce e miele, mentre quella moderna e tipica della tradizione fiorentina si avvicinerà, stranamente, a quella fornita da Secco Suardo.

La pulitura dei dipinti ad olio dipende dai materiali che si intende rimuovere (olio, vernice, fumo, insetti, ridipinture) e fondamentali sono la sensibilità e l’intelligenza dell’operatore.

Infine, Forni parla del ritocco pittorico, eseguito con una base a tempera ed una finitura con colori a vernice.

La prima parte del manuale si chiude con la descrizione del laboratorio del restauro “ottimale” (diviso in due zone: una in cui si effettua il restauro artistico e una in cui si eseguono interventi strutturali e meccanici), con una serie di disposizioni per una conservazione preventiva (aria pulita, stabilità del microclima, dannosità della luce diretta) e con due appendici.

La seconda parte è dedicata ai materiali per il restauro e alle procedure per ottenerli personalmente. Forni descrive ben sedici ricette per la produzione delle colle naturali e affronta una grande quantità di materiali: solventi, soda, potassa, ammoniaca, balsami, trementine, resine, colla, vernici ecc..

La terza parte è dedicata ai colori per il restauro, dei quali si elencano caratteristiche fondamentali e origine.

Nato nel 1798 Giovanni Secco Suardo si dedicò agli studi giuridici, ma non esercitò mai la professione.

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La sua passione per l’arte lo portò a disegnare, dipingere, collezionare opere e ad interessarsi alle tecniche di restauro. I temi che lo interessavano di più erano il distacco delle pitture murali per mezzo dello strappo e il trasporto del colore.

Nel suo manuale, dal titolo Il restauratore dei dipinti (Hoepli, 1894), si rintraccia spesso il confronto tra le proprie prescrizioni e i metodi francesi.

Prima di addentrarsi nelle parti tecniche, Secco Suardo scrive una introduzione e una premessa, nelle quali inquadra il restauro in generale ed enumera le caratteristiche che si richiedono ad un perfetto restauratore.

A differenza del Manuale di Forni, l’opera di Secco Suardo parte dal dipinto e costruisce una accurata analisi delle possibili situazioni, corrispondenti alle patologie che si possono riscontrare, per poi arrivare ad individuare per ciascuna il metodo migliore.

Interessante è il paragrafo “Esame di un trasporto eseguito dal signor Paolo Kiewert”. Si tratta di due dipinti di Solario che presentavano un sollevamento di colore. Il proprietario, il conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli, li invia a Parigi per far eseguire al Kiewert il trasporto del colore. Ma il problema non si risolve e si decide di chiedere una consulenza a Secco Suardo che, grazie ad una felice intuizione, individua il problema: durante il restauro parigino, era stata mantenuta buona parte della preparazione originaria, sulla quale erano state stese mani di colla forte e si era poi costituito un assemblaggio sul nuovo supporto in legno di “acajou” che comprendeva sia la carta sia la tela. L’instabilità del colore era dovuta al diverso comportamento di tutti questi materiali al variare dell’umidità.

Nella seconda parte affronta il problema della pulitura, invitando alla cautela e classificando le varie sostanze per natura e caratteristiche.

Anche Secco Suardo analizza il Metodo Pettenkofer, ma non analizza i limiti e i rischi come invece fa il Forni.

[1] Il metodo Pettenkofer consisteva nel mettere il dipinto a faccia in giù in una cassetta piena di alcol e di altri solventi. I vapori, iniziando a rammollire gli strati della vernice, la distendevano, eliminavano la crettatura e risaldavano le microfratture, rendendo la vernice più trasparente e facendo apparire il colore più vivace.

 

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