Giorgione, l’incanto del pennello tra grazia e mistero

di Laura Corchia

“E’ stato felicissimo, Giorgione da Castelfranco, nel dimostrare

sotto le acque chiare il pesce, gl’arbori, i frutti e ciò

che egli voleva con bellissima maniera”

(G.P. Lomazzo)

Con le sue atmosfere rarefatte, con la sue opere dai risvolti misteriosi, Giorgione può essere considerato l’uomo nuovo della pittura moderna. Egli ha avuto il merito di inventare un nuovo stile pittorico teso all’imitazione della natura, in linea con le ricerche che anche Leonardo stava conducendo. Scrive Giorgio Vasari: “Attese al disegno e lo gustò grandemente; et in quello la natura lo favorí sí forte, che egli innamoratosi di lei non voleva mettere in opera cosa, che egli da ‘l vivo non la ritraessi. E tanto le fu suggetto e tanto andò imitandola, che non solo egli acquistò nome di aver passato Gentile e Giovanni Bellini, ma di competere con coloro che lavoravano in Toscana et erano autori della maniera moderna. Diedegli la natura tanto benigno spirito, che egli nel colorito a olio et a fresco fece alcune vivezze et altre cose morbide et unite e sfumate talmente negli scuri, ch’e’ fu cagione che molti di quegli che erano allora eccellenti confessassino lui esser nato per metter lo spirto nelle figure e per contraffar la freschezza della carne viva, piú che nessuno che dipignesse non solo in Venezia, ma per tutto”.

La Tempesta, 1503-04
La Tempesta, 1503-04

Nato nel a Castelfranco Veneto nel 1478 circa, nessun documento permette di risalire agli anni della giovinezza e della formazione. Chiamato “Zorzo” o “Zorzi” (il soprannome Giorgione gli fu dato dopo la morte per sottolineare la statura alta), si sa che entrò a far parte della bottega veneta di Giovanni Bellini, da cui riprese il gusto per il colore e l’attenzione per i paesaggi.

Leggi anche  Monet su Monet: il grande maestro dell'Impressionismo si racconta

Egli sperimentò la pittura tonale, senza disegno, dove il colore dato a macchia dà vita a immagini morbide e atmosferiche. La resa dello spazio non fu più affidata alla prospettiva, ma alla diversa intensità luminosa dei colori.

Il catalogo di opere attribuibili a Giorgione è molto ridotto e comprende solo sei o sette dipinti riconosciuti come sicuramente autografi: la Pala di Castelfranco, i Tre filosofi, la Venere dormente, la Tempesta, il Ritratto di vecchia, la Giuditta e il Ritratto di giovane. 

La pala di Castelfranco, 1502 circa
La pala di Castelfranco, 1502 circa

La Pala di Castelfranco fu eseguita intorno al 1504-05 e segue il modello della tradizione veneziana del Quattrocento, sia per il tema della sacra conversazione , sia per la disposizione simmetrica dei santi attorno alla Vergine. La grande novità è rappresentata dall’ambiente che accoglie le figure: non più un luogo chiuso architettonicamente, ma uno spazio naturale aperto. L’ampio paesaggio alle spalle del gruppo sacro comprende colline, alberi, un castello e due figure che si scorgono in lontananza.

Giuditta, 1499
Giuditta, 1499

La bellissima Giuditta con la testa di Oloferne, ritenuta in passato opera di Raffaello, fu eseguita nel 1499 e la presenza di un foro ha fatto supporre che in origine assolvesse alla funzione di sportello o di un armadio. La scena, priva di connotazioni drammatiche, si caratterizza per la luminosità che investe il paesaggio e per la figura, il cui volto imperturbabile è memore della grazia dei volti del Perugino e di Raffaello.

Leggi anche  La ruota della Fortuna: "oggi a me, domani a te". Storia e iconografia
Tre filosofi, 1506-08
Tre filosofi, 1506-08

Giorgione morì in giovanissima età, nel 1510:  “Mentre […] attendeva ad onorare e sé e la patria sua, nel molto conversar che e’ faceva per trattenere con la musica molti suoi amici, si innamorò di una madonna, e molto goderono l’uno e l’altra de’ loro amori. Avvenne che l’anno MDXI ella infettò di peste non ne sapendo però altro, e praticandovi Giorgione al solito, se li appiccò la peste di maniera, che in breve tempo nella età sua di XXXIIII anni, se ne passò a l’altra | vita, non senza dolore infinito di molti suoi amici che lo amavano per le sue virtú”.

Sfuggente, inafferrabile e misterioso, tanto da apparire a Gabriele D’Annunzio, “piuttosto come un mito che come un uomo”, Giorgione appartiene a quelle figure d’artisti che confinano con le figure degli eroi, le cui opere rappresentano l’incanto di un pennello capace sì di creare, ma anche di lasciare dietro di sé una scia di insondabile mistero.

RIPRODUZIONE RISERVATA

Leggi anche  Giorgione i suoi Filosofi: l'incomprensibile quartetto

Ti è piaciuto? Unisciti al nostro canale Telegram per ricevere tanti contenuti in esclusiva!