El Greco in Italia: emozione, passione e mistero nella mostra di Treviso

di Vesa Matteo Piludu (Università di Helsinki)

La splendida mostra El Greco in Italia. Metamorfosi di un Genio, inaugurata il 23 ottobre dello scorso anno alla Casa dei Carraresi di Treviso, è stata prorogata a furor di popolo sino al primo maggio 2016. L’esposizione ha un raro pregio: è stata curata con tale passione da fare emozionare, o persino commuovere, anche il pubblico che non frequenta con regolarità i musei d’arte. L’ottima illuminazione dà l’impressione di poter entrare nei vibranti colori di Domínikos Theotokópulos (1541-1614) e si ha l’impressione di sentire sulla pelle e nel cuore il tagliante movimento delle pennellate del maestro.

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Molte, troppe per essere riassunte in poche righe, le ragioni che valgono un viaggio a Treviso o la pena di procurarsi i due cataloghi (uno della mostra e uno di saggi scientifici). In primis, molte sono le opere mai esposte in Italia o all’estero. L’evento fa seguito al successo delle grandi esposizioni dedicate all’artista per il quarto centenario della sua morte (il 7 aprile 1614) da poco conclusasi al Prado, a Toledo e ad Atene. Come giustamente ha affermato il curatore Lionello Puppi, la mostra infrange l’assordante silenzio italiano durante l’anno delle celebrazioni. E lo fa in modo fresco e innovativo, presentando aspetti dell’opera giovanile del maestro che le mostre spagnole non hanno messo particolarmente in evidenza. La mostra è focalizzata sul periodo italiano: il più denso di mistero nella vita di El Greco.

 

L’esposizione trevigiana insegue le incredibili metamorfosi stilistiche di El Greco, nato nel 1451 a Candia nell’isola di Creta, allora dominio veneziano. Il percorso espositivo è diviso in quattro sezioni che seguono l’avventura artistica e spirituale dell’artista fra Creta, Venezia e Roma. Dal buio delle prime sale emerge, vasto e misterioso, il mondo di El Greco: invero suggestive la carta del Medirreaneo di Callapodha (1570), la veduta orizzontale di Candia di Georg Braun (1581) e la classica piantina aerea di Venezia di Joseph Heinz il Giovane (1650).

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Parte Prima: Le origini

 

La mostra dà subito l’idea di come El Greco fosse immerso nel multiforme universo mediderraneo della Serenissima. Il primo El Greco fu influenzato dall’opera di due maestri dell’ibrida e multiculturale scuola veneto-cretese. Gergios Klontzas, vicino alla tradizione bizantina, ma aperto a varie suggestioni dell’arte italiana, è in mostra con un superbo Trittico (XVI secolo, con Ultima cena, Crocefissione e Apocalisse) di una collezione privata. Il duttile Michael Damaskinós era era molto attivo a Venezia: dipinse per la Chiesa di San Giorgio dei Greci e seppe fondere in modo inedito “la maniera greca” con varie suggestioni dalle tele di Palma il Giovane. È rappresentato a Treviso con da un bel Cristo Grand’Arcivescovo in trono (fine XVI secolo). I pittori veneto-cretesi dipingevano sia per la clientela ortodossa che per quella quella cattolica, e dovevano in continuazione adattarsi alle più diverse richeste figurative e religiose della clientela.

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El Greco arriva a Venezia a circa ventisei anni, parte dall’icona ibrida veneto- bizantina, ma assimila presto l’ordine simbolico, naturalistico e prospettico del Rinascimento. Il punto di partenza della metamorfosi è San Demetrio di Tessalonica (circa 1565/1566), una straordinaria e rarissima icona firmata dal maestro scoperta di recente grazie alle indagini di Mariella Lobefaro e di Puppi.

F1-ElGrr_SanDemetrio_CollezionePrivata

Il Santo ha lo sguardo fisso delle icone, ma è seduto su un trono di marmo che rivela una cerrta profondità prospettica e soprattutto è infarcito di suggestioni vegetali classiche. Il drago ai piedi del Santo, con tanto di coda arrotolata e dinamica, ricorda quello di San Giorgio, molto rappresentato nell’arte italiana del tempo. Il santo è un megalomartire greco-ortodosso e secondo una tradizione era un militare o un proconsole romano. L’iconografia lo rappresenta in armatura e dopo la caduta di Costantinopoli viene sempre più associato a San Giorgio: entrambi saranno protettori dei crociati.

Sull’opera del giovanissimo El Greco, al Museo Diocesano di Arte Sacra di Treviso è visitabile addirittura un’altra mostra: Il primo El Greco e l’icona veneto-cretese, ovviamente gemellata con quella dei Carraresi.

Parte Seconda: L’approdo a Venezia

Lo stile e la spiritualità di El Greco cambierà presto. Da ortodosso Domínikos diverrà prestro fervente cattolico, pur non dimenticando affatto la tradizione bizantina. Lo si vede nel celebre Altarolo Portatile (circa 1567-9), in prestito dalla Galleria Estense di Parma. La tipologia e le dimensioni dell’opera appartengono ancora al repertorio dell’ebanisteria veneto-cretese, ma lo stile rivela le forti suggestioni dell’arte di Tiziano e Tintoretto.

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Al centro del recto vi è un’Allegoria del fedele come Miles Christi ispirata al testo Enchiridion militis christiani di Erasmo da Rotterdam: il tema ricorrerà più volte nell’opera dell’artista. Cristo regge lo stendardo bianco con la Croce della Resurrezione, incorona un cavaliere cristiano, e calpesta le allegorie del male e della morte che poggiano su raffigurazioni simboliche dei quattro Evangelisti, mentre gli angeli intorno sorreggono i simboli della Passione. In basso al centro sono visibili le tre Virtù teologali (Fede, Speranza, Carità).

La posizione del Cristo ricorda quella del celebre San Giovanni Battista (1540) di Tiziano, in mostra a Treviso. Secondo alcuni studiosi, El Greco deve avere ammirato e studiato il dipinto. Un simile Battista si trova anche nella parte destra del recto, mentre battezza Cristo.

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Del tutto innovativa è la figurazione del dipinto centrale del verso dell’Altarolo: una scurissima – quasi apocalittica – Veduta sul Monte Sinai che anticipa la visionarietà delle ultime opere di El Greco.

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Alcuni monti spioventi come questo, ma ben più chiari e luminosi, si trovano in una Passione di del Cristo del già citato artista veneto-bizantino Klontzas.

 La parte sinistra del verso dell’Altarolo rappresenta l’Annunciazione, dipinta in modo simile al più tardo Annunciazione del 1575 prestata dal Museo Thyssen-Bornemissza di Madrid. La posizione della Madonna e la prospettiva ricorda l’Annunciazione Malchiostro (1520-1526) di Tiziano conservata nel Duomo di Treviso, città che El Greco avrebbe potuto avere visitato nelle sue peregrinazioni.

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Come di consueto, Tiziano aveva rivoluzionato l’iconografia tradizionale: più spesso la Madonna era a destra e di profilo e l’angelo a sinistra. Nel quadro di Tiziano Maria è in primo piano a sinistra, mentre l’angelo è indietro a destra, più lontano su una diagonale prospettica e quasi sospinto dalla luce divina. La versione di El Greco risulta abbastanza simile, anche se la struttura è più orizzontale, l’angelo è più imponente, e la luce piomba verticalmente sui personaggi. Lorenzo Lotto, con l’Annunciazione di Recanati, propose una versione ancora più originale e innovativa del tema.

F6-Tiziano_San Francesco riceve le stimmate_MuseoRegionaleAgostinoPepoli,Trapani_Foto Paolo Cracchiolo

La mostra offre molti altri esempi che dimostrano la fertile influenza dell’arte veneta su El Greco: basti confrontare il San Francesco che riceve le stimmate (1525), altro capolavoro di Tiziano, con il San Francesco che riceve le stimmate (1570) e il San Francesco (1576-1577) di El Greco.

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Parte terza: a Roma e in Centro Italia

Intorno al 1570 El Greco giunse a Roma, dove il pittore aderì sempre di più a ideali artistici italiani: fece parte del cenacolo di artisti e intellettuali che si riunivano intorno al cardinale Alessandro Farnese. Nella sezione romana si trovano degli splendidi ritratti che rappresentano la produzione più realista di El Greco. Uno splendido Ritratto di Giovane Gentiluomo Italiano (circa 1570) è una delle molte anteprime mondiali della mostra.

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Maria Paphiti, membro del Comitato Scientifico dell’esposizione, ha raccontato l’incredibile storia del ritrovamento del quadro: “Nel 1930 il dipinto Ritratto di gentiluomo era appeso nell’elegante appartamento di Julius Priester, un famoso industriale ebreo viennese. In seguito all’annessione dell’Austria alla Germania nel marzo del 1938, Julius Priester fuggì a Vienna. Tutta la sua collezione d’arte, tra cui questo ritratto, fu sequestrato dalla Gestapo nel 1944, in seguito all’esproprio dei beni culturali di proprietà ebraica che fu condotto dai nazisti. Alla fine della seconda guerra mondiale, Julius Priester avviò delle indagini volte al recupero dei suoi quadri, ma per mascherarne la vera identità è stata data una paternità sbagliata del quadro”. Il dipinto è stato rintracciato in un’asta a New York nel 2014, ma solo nel 2015 – grazie alla Commition for Looted Art – il dipinto è stato finalmente restituito ai legittimi proprietari ed eredi di Julius Priester.

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Un altro quadro in esposizione, la stupefacente Guarigione del cieco (1573-74), sembra contenere tracce del suo soggiorno romano: sono visibili ruderi che ricordano le Terme di Diocleziano e sono riconoscibili i ritratti del principe e generale Alessandro Farnese (da non confondere col cardinale) e Juan de Austria, eroi della battaglia di Lepanto, evocata in mostra dall’Allegoria della Battaglia di Lepanto (1572-73) di Veronese.

 

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F11 Veronese - La battaglia di Lepanto - S (cat. 212)Nel dipinto di El Greco Gesù apre gli occhi ad un cieco e lo guarisce (episodio del Vangelo secondo Giovanni: 9; 1-41). Molti studiosi credono che il dipinto sia stato commissionato da Alessandro Farnese stesso e prospettano un’interpretazione politico-religiosa del tema: L’Europa era divista fra cattolici e protestanti e solo la Chiesa di Roma poteva aprire, come Cristo, gli occhi alla vera fede. Secondo altri studiosi il dipinto poteva essere un invito ad aprire gli occhi davanti all’avanzata dell’Impero Ottomano.

Nonostante sia molto originale per le scelte cromatiche, la Guarigione rivela evidenti influenze michelangiolesche. Eppure El Greco criticò duramente, e sconsideratamente, la pittura di Michelangelo, morto nel 1564 ma ovviamente ancora osannato a Roma. El Greco arrivò a proporre di ridipingere la Sistina, e non pochi studiosi sostengono che queste opinioni finirono per ostracizzare il cretese a Roma.

Nella mostra trevigiana è una vera emozione poter ammirare, l’uno accanto all’altro, lo splendido Ragazzo che soffia su un tizzone accesso o El soplón (circa 1570-72) di El Greco con il dipinto “gemello” di Bassano (circa 1572-1575). El Greco dipinse più volte questo tema durante la sua carriera. L’iconografia può essere ispirata a un passo della Storia Naturale di Plinio il Vecchio, che menzionò vari pittori e scultori che rappresentano ragazzi nell’atto di accendere il fuoco. Studi recenti ipotizzano che il soggetto sia stato un tentativo di riproduzione di un quadro dell’Antichità classica andato perduto.

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La tela fu probabilmente eseguita durante il soggiorno romano e fece parte della collezione farnese, per poi essere ereditata da Carlo di Borbone e trasferita a Napoli.

Parte quarta: El Greco e i moderni

L’ultima sezione dell’esposizione è dedicata all’influenza di El Greco sui moderni. È noto che Domínikos fu profondamente ammirato da Modigliani, Chagall, Schiele, Giacometti e Pollock. Fu inesauribile fonte di suggestioni per Picasso, che lo considerava un precursore dell’arte moderna e una sorta di alter-ego artistico del passato.

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Picasso è in mostra con un maestoso cartone del 1958, una versione delle Demoiselles d’Avignon mai esibita prima, dal quale si evince l’influenza che El Greco ebbe sul pittore cubista, anche attraverso il confronto diretto con gli angeli danzanti dell’Adorazione dei Pastori (1600-1605) e del Battesimo di Cristo (1600-1605) provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini di Roma – anch’essi in mostra, e nella stessa sala.

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Un perfetto commento all’intero percorso artistico di El Greco presentato in questa esposizione sono le parole di Serena Baccaglini, membro del Comitato Scientifico: “La genialità del Greco sta nell’essere riuscito a fondere due culture contrapposte: quella greca ortodossa e quella rinascimentale cattolica romana. Sorprendente è la sua capacità di non negare nessuno dei due linguaggi e riuscire a fonderli insieme in uno stilema originale e unico. È questo che fa del Greco l’artista eminentemente visionario che sconvolse Manet, Cezanne e Picasso.”

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