Édouard Manet: un artista fuori dal coro nella Parigi dell’Impressionismo

di Laura Corchia

Lungamente considerato un impressionista, Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883) in realtà non lo fu mai. Il suo ruolo era già stato delineato dallo stesso amico e collega Renoir, il quale disse: “Manet era per noi tanto importante quanto Cimabue o Giotto per gli italiani del Rinascimento”. Un faro, dunque. Un modello da tenere a mente e al quale ispirarsi, pur mantenendosi nel solco del proprio stile personale. Riguardo agli insegnamenti accademici, l’artista dimostrò sin da subito una certa insofferenza, volgendo la sua attenzione alla riproduzione della realtà così come si presentava ai suoi occhi.

Rispetto agli impressionisti, egli preferiva lavorare nel suo studio, guardando ad artisti come Courbet, Raffaello, Tiziano, Goya e Velázquez.

Nato a Parigi nel 1832, Manet scelse di diventare pittore contro il volere del padre il quale, per dissuaderlo dall’intraprendere la carriera di artista, lo fece imbarcare su un vapore in partenza per Rio de Janeiro. Il viaggio si rivelò estremamente interessante per la maturazione del giovane e, vinte le resistenze paterne, rientrò in patria e andò a studiare presso Thomas Couture, un mediocre pittore accademico. Su suo consiglio, si recò in Olanda, Germania e Austria, giungendo anche in Italia.

Édouard Manet, Colazione sull’erba (1863); olio su tela, 208×264 cm, museo d’Orsay, Parigi

Il dipinto che segnò l’inizio della tormentata carriera artistica di Manet fu la Colazione sull’erba, esposto nel 1863 e al centro di un vero e proprio scandalo. A tal proposito, rilevanti ci sembrano le impressioni scritte da Antonin Proust: “Il pubblico è stato impietoso. Rideva dinanzi a quei capolavori. I mariti portavano le mogli al ponte dell’Alma. Tutti dovevano offrire a se stessi e ai loro cari quest’occasione rara di ridere a crepapelle”. A destare scandalo fu la figura nuda dipinta al centro della scena, considerata una profanazione dei nobili modelli del passato. Durissime furono le critiche dell’inglese Hamilton: “Il nudo, quando è dipinto da persone volgari, è inevitabilmente indecente […] ora un disgraziato francese ha tradotto Giorgione nel moderno realismo e negli orribili panni francesi moderni in luogo dell’elegante costume veneziano”.

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Solo Émile Zola, suo amico e sostenitore, gli riservò parole ricche di ammirazione: “Il talento di Manet è fatto di semplicità e di autenticità. Forse, davanti alla natura incredibile di certi suoi colleghi, si sarà deciso a interrogare la realtà, da solo a sola; avrà rifiutato tutta la scienza acquisita, tutta l’esperienza antica, avrà voluto accingersi all’arte dall’inizio, cioè dall’osservazione esatta degli oggetti. Si è dunque messo coraggiosamente di fronte a un soggetto, ha visto quel soggetto per larghe macchie, per contrasti vigorosi, e ha dipinto ogni cosa così come la vedeva. […] Il temperamento di Manet è un temperamento secco, che penetra in profondità. Ferma vivacemente le sue figure, non arretra davanti alle rudezze della natura, ritrae nel loro vigore i diversi oggetti che si stagliano gli uni sugli altri. Tutta la sua personalità lo porta a vedere per macchie, per frammenti semplici ed energici. […] Sapete quale effetto producono le tele di Manet al Salon. Bucano le pareti. Semplicemente. Tutt’intorno ad esse si spandono le dolcezze dei confettieri artistici alla moda, gli alberi di zucchero candito e le case di timballo, gli uomini di pan pepato e le donnine fatte di crema alla vaniglia. Il negozio di caramelle diventa più rosa e più dolce, e le tele vive dell’artista sembrano assumere una certa amarezza in mezzo a quel fiume di latte”.

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Artista libero e anticonformista, Édouard Manet diede esempio di coraggio e di audacia. Pittore solitario e fuori dal coro, non aderì ad alcun movimento, preferendo seguire una strada fatta di uno stile intimo e del tutto personale. Dipinse senza posa sino alla morte, avvenuta il 30 aprile 1883.

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