La conchiglia nell’arte e nella storia del mondo

Di Sara Venturiero

La conchiglia, da sempre, simbolo legato all’acqua, fu largamente raffigurata sin dall’antichità. I primi esempi si hanno nell’Antica Grecia, dove simboleggiava i genitali femminili e quindi direttamente connessa alla riproduzione; tant’è che si riteneva Venere, dea dell’amore e della bellezza, fosse nata appunto da una conchiglia che dopo una lunga navigazione si arenò sulla spiaggia. Il Mondo Latino riprese questo simbolo, il cui nome attribuitogli era pecten, indicava sia la conciglia nel senso stretto del termine, sia l’organo riproduttivo femminile.

Partendo dall’idea di fecondità, quindi l’inizio di una nuova vita, fu semplice per il Mondo Cristiano ricondurre la conchiglia alla nascita, come anche alla (ri)nascita, intesa nel senso di purificazione dello spirito. Proprio per questo, tutti quei oggetti legati ai riti cristiani di purificazione, come fonti battesimali e acquasantiere, hanno esattamente tale forma o che la richiamano.

Addentrandosi in altre religioni, nel buddismo la conchiglia è uno degli otto simboli che auspicano fortuna ed è un augurio di buon viaggio. Anche per gli Aztechi era l’archetipo femminino simbolo della fecondità, della creazione del mondo e di tutti i suoi abitanti, vegetali, animali ed umani.

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Tornando in Occidente, la celebre Nascita di Venere di Botticelli, ne è l’esempio più significativo: viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile che simboleggia la fisicità dell’atto d’amore, mentre l’ancella sulla riva le porge un mantello riccamente decorato di fiori, a raffigurare la nascita e rinascita della vita durante la Primavera. Sarebbe dunque un’allegoria dell’amore inteso come forza motrice della Natura e la figura della dea rappresenterebbe la personificazione della purezza e della bellezza dell’anima.

 

Allo stesso modo nella Pala di Montefeltro di Piero della Francesca, la grande conchiglia alle spalle e sopra il capo della Vergine simboleggia l’amore protettivo della Madre verso il figlioletto che dolcemente dorme sulle sue ginocchia che, da adulto, dovrà sacrificare la sua vita per salvare gli uomini, proprio come le valve racchiudono al loro interno la preziosa, ma dolorosa, perla.

 

Nel XVII secolo, il simbolo della conchiglia comincia ad apparire assieme alle nature morte nei dipinti fiamminghi, le cui composizioni presero il nome di Vanitas. Questi dipinti erano perlopiù allegorie con un significato mirato, ovvero le valve aperte o il guscio vuoto erano oggetti ammonitori riferiti alla precarietà dell’esistenza umana, quasi a voler simboleggiare il vuoto della vita vissuta con superficialità; mentre per la Chiesa era intesa come esperienza effimera se vissuta al di fuori della fede.

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Accanto al significato religioso, andò a sovrapporsi anche l’accezione esoterica, la quale considerava la conchiglia come simbolo di conoscenza, o meglio, il raggiungimento di una conoscenza superiore, spesso concessa solo a determinati personaggi.

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Nell’ambito nel viaggio inteso come percorso di vita verso la purificazione dell’anima, uno degli esempi cardine sono proprio i pellegrinaggi; concretizzata nella figura di Santi pellegrini come San Giacomo e San Rocco, i quali, oltre al tipico matello di lana pesante usato per proteggersi dal freddo, portavano sul petto proprio una conchiglia, precisamente una valva di capasanta. Non a caso, la conchiglia è diventata il simbolo, inteso anche come direzione da seguire lungo uno dei più importanti Cammini, quale quello verso Santiago di Compostela, nella Galizia, regione più ad Ovest della Spagna; percorso sin dal Medioevo, tanto da diventare essa stessa la certificazione del completamento di un percorso, che sia di espiazione per i propri peccati, qual era la pena afflitta dalla Chiesa per certe condanne, o anche da mostrare alle autorità preposte una volta rientrati nel paese natale per ottenere esenzioni dalle tasse e dal pagamento di pedaggi, o semplicemente come cammino di vita.

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