Antonio Ligabue: istinto, genialità, follia. Un video eccezionale

di Laura Corchia

Bizzarro, geniale, naïf. “El matt”, come veniva chiamato nel paese d’origine del padre adottivo, dimostrò fin da ragazzo una naturale inclinazione nei confronti dell’arte.

Antonio Ligabue nacque a Zurigo il 18 dicembre 1899. La madre, Elisabetta Costa, sposò nel 1901 Bonfiglio Laccabue, che riconobbe il bambino e gli diede il proprio cognome. Ancora piccolo, venne affidato agli svizzeri Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann che, a causa delle disagiate condizioni economiche e culturali, erano costretti a spostarsi di continuo. Antonio ben prestò dimostrò un carattere difficile, aggravato da un profondo disagio psicologico. Nel 1917, in seguito ad una crisi di nervi, varcò per la prima volta la soglia di un ospedale psichiatrico. Da allora fu tutto un susseguirsi di ricoveri, fughe, denunce, piccoli segnali di ripresa e poi ancora crisi terribili.

Antonio Ligabue: Tigre assalita dal serpente
Antonio Ligabue: Tigre assalita dal serpente


Nel 1920 iniziò a dipingere. Nel suo casolare isolato, non fece altro che riprodurre sulla tela, in modo quasi ossessivo, soggetti sempre simili: tigri, galli, leopardi, leoni e autoritratti, moltissimi autoritratti. Ne dipinse circa 123 tra il 1940 e il 1962. La pittura gli consentiva di rifugiarsi nel suo mondo interiore, un mondo fatto di bestie feroci ma vivacemente colorato. La sua genialità artistica gli consentiva di trasformare i filari di pioppi in rigogliose foreste. Sentiva gli animali come compagni, li comprendeva e li amava più degli uomini: e ad essi più che agli uomini, voleva assomigliare.

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Dipingeva anche durante i ricoveri in manicomio, sotto gli occhi curiosi dei medici che rilevavano: “…dipinge in modo primitivo, comincia dall’alto con pentimenti e correzioni, sino al margine inferiore…”.

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Autoritratto

Oltre alla pittura, Ligabue si dedicò alla scultura in terracotta. I soggetti sono sempre gli stessi, tuttavia rappresentati con una adesione realistica maggiore, una minor propensione alla deformazione. Dal blocco di argilla ricavava la figura, che poi rifiniva con energiche pressioni delle mani. I dettagli, come il pelo degli animali e gli occhi, erano resi con l’utilizzo di un oggetto affilato e appuntito. Code, orecchie, criniere ed altri elementi erano modellati a parte su strisce d’argilla e poi applicati alla scultura.

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Anche quando la fama cominciò a bussare alla sua porta, Ligabue continuò ad essere un personaggio inquietante. Rinchiuso nel suo mondo visionario, rintanato tra gli alberi, accentuò le sue forme maniacali, arrivando ad esigere un autista che si togliesse il cappello e che gli aprisse la portiera della macchina.

Colpito da paresi nel 1962, Ligabue continuò comunque a dipingere fino alla sua morte, sopraggiunta il 27 maggio 1965.

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La sua vita di uomo è testimoniata da Raffaele Andreassi che, 1962, gli dedicò un documentario dal titolo “Il vero naïf”.

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