Agnolo Bronzino: “La dotta penna al pennel dotto pari”

di Laura Corchia

“Si è dilettato costui e dilettasi ancora assai della poesia” scriveva Giorgio Vasari a conclusione della biografia di Agnolo Bronzino, ricordando uno degli aspetti che rese eccezionale la figura del pittore fiorentino, inneggiato dai suoi contemporanei come “nuovo Apelle e nuovo Apollo”.

Agnolo Tori di Cosimo di Mariano nacque a Firenze nel 1503. Soprannominato Bronzino, fu largamente attivo a Firenze, presso la corte medicea.

Agnolo Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, 1540
Agnolo Bronzino, Allegoria del trionfo di Venere, 1540

La sua produzione pittorica è caratterizzata da glaciali ritratti ufficiali e da più libere composizioni mitologiche, caratterizzate da nudi torniti ed erotici.

Dapprima apprendista di Raffaellino del Garbo, Bronzino si formò nella bottega del Pontormo, il quale gli trasmise il suo stile. Successivamente, queste influenze lasciarono spazio ad una forma del tutto originale, sintesi fra naturalismo e astrazione.

I suoi ritratti, infatti, occupano uno spazio lontano e metafisico e si presentano come distaccati dal mondo, calati nella loro fierezza. Straordinaria e la resa delle fisionomie, dei tessuti e degli oggetti che li accompagnano e che ne mettono in risalto l’eleganza.

Ritratto Lucrezia Panciatichi (dettaglio), 1540.
Ritratto Lucrezia Panciatichi (dettaglio), 1540.

Esemplare in tal senso è il Ritratto di Eleonora di Toledo, datato 1545. L’opera mostra «la ricerca di una forma regolare, quasi geometrica, a cui s’accompagna un colore limpido e freddo che giunge a note alte e timbrate» (Argan). Una purezza formale, quella che regala il Bronzino ai suoi personaggi che è un elogio nei loro confronti; una scelta che li rende privilegiati perché frutto di una preziosa selezione. Personaggi, direbbe sempre Argan, che sembrano uscire dal Galateo di Monsignor della Casa, mentre quelli di Raffaello paiono scaturire dal Cortegiano di Baldasar Castiglione. Eleonora è elegantissima nell’abito superbo, lo stesso, con alcune varianti, indossato dalla duchessa nel momento in cui fu sepolta, come è emerso dalla ricognizione nelle tombe dei Medici avvenuta lo scorso anno.

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Agnolo Bronzino, Ritratto di Eleonora da Toledo, 1550
Agnolo Bronzino, Ritratto di Eleonora da Toledo, 1550

Dolcissimo suo figlio, già identificato tradizionalmente con Garzia, il settimo figlio della coppia ducale nato nel 1547, mentre per alcuni si tratterebbe del secondogenito Francesco, nato nel 1541, subito dopo Maria. È quindi verosimile che il ritratto sia quello citato dal Vasari come voluto da Eleonora dopo che il Bronzino aveva eseguito altri ritratti dei Medici: «E non andò molto che ritrasse, siccome piacque a lei, un’altra volta la detta duchessa, col signor don Giovanni suo figliolo appresso». Il Bronzino per accontentarla «mise in opera tutto il suo talento, tutte le finezze» scrive il Venturi, «costruzioni, tutti i fregi, i ricami, i merletti, i tessuti più belli a gloria dell’arte medicea». È peraltro questa l’epoca, forse più di ogni altra, in cui il modo di vestire ha una funzione simbolica. L’abito diventa per i potenti strumento di propaganda personale e politica, mezzo per dimostrare potere e appartenenza sociale. Si moltiplicano gli accessori dell’abito e il taglio cambia; la scollatura si adorna di reticelle per abbellirla e l’acconciatura si fa raccolta per rimpicciolire il capo e dare slancio alla figura mentre gli abiti sontuosi accentuano l’aspetto regale della persona; aspetto che in quest’opera diventa anche l’inaccessibile grandezza che la duchessa Eleonora porta in sé, sotto l’ espressione dolce eppure severa, secondo l’autodisciplina dei personaggi dipinti dal Bronzino, tutti chiusi nella «corazza del contegno», come scrive Pinder.

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Agnolo Bronzino: Sacra Famiglia con sant'Anna e san Giovannino (dettaglio), 1555-60.
Agnolo Bronzino: Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino (dettaglio), 1555-60.

 

“ […] E, perché io sono anch’io pur dipintore,
io vi vo’ far vedere a quel ch’è buono
il pennel grosso, il mezzano, il minore.
Que’ corti e grossi al proposito sono,
quando egli accade a guazzo lavorare;
fate pur dinotar quel ch’io ragiono.
Ma quando altrui si vuole assottigliare,
e’ bisogna un pennello accomodato,
che serva a quella cosa che s’ha a fare.
E questo vi sia sempre ricordato,
che ne’ lavori grandi e ne’ gentili
il pennel vuol aver dell’atticciato,
perroché quando son lunghi e sottili
si ripiegano in punta e piglian l’atto
dell’esser torti e son poltroni e vili.
I’ non vo’ lodar questi a nessun
patto, che ti bisogna lisciargli due ore,
se gli vuoi adoprar ad un tuo fatto.
Né per questo si scema dell’onore
al buon pennello, anzi s’accresce in grosso
e se non fosse che ‘l lume si muore
io ve ‘l farei vedere, dov’io non posso.”
(Agnolo Bronzino, da “Del pennello”)

Fonte: Fondazione Menarini

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